Retour à Paris
MASSIMODECARLO Pièce Unique è lieta di presentare Retour à Paris, la mostra personale di Gianfranco Baruchello.
2 ottobre 1963: in una lettera ad Arne Ekstrom, che il 31 marzo 1964 inaugurerà presso la Galleria Cordier&Ekstrom a New York la prima personale americana di Baruchello, presentato da Dore Ashton, Baruchello racconta la sua visita a Parigi presso Daniel Cordier, avvenuta il 22 settembre del1963. Daniel Cordier, storico, collezionista e mercante, sin dagli anni del secondo dopoguerra, ha ormai in collezione circa “22 dipinti” e circa “50 disegni”. Tra le opere non acquistate ma che Cordier ha voluto vedere (Baruchello spedisce a Cordier i fotocolor e le fotografie di suoi lavori realizzati tra il 1962 e il 1963) c’è anche Il Tecnolatra e tele di formato più piccolo tra le quali Attenzione, dio ti vede e An old shelter. Il Tecnolatra non arriva a Parigi poiché è stato scelto insieme ad altri due lavori dello stesso anno da Giulio Carlo Argan per la mostra Oltre l’Informale, in occasione della IV Biennale d’Arte di San Marino (7 luglio – 7 ottobre 1963). Era stato visto per la prima volta da Argan e da Palma Bucarelli a Roma, in occasione della prima personale di Baruchello presso la Galleria La Tartaruga, inaugurata il 20 maggio del 1963. An old shelter viaggia invece per Parigi e prosegue poi per New York dove è in Galleria in occasione della mostra americana del 1964.
La presenza a Parigi di Baruchello risale già al 1962: la mostra Collage et Objets presso la Galerie du Cercle (24 ottobre – 17 novembre) a cura di Alain Jouffroy e Robert Lebel, l’evento Catastrophe (27 novembre – 13 dicembre) presso la Galerie Raymond Cordier, a cura di Jean-Jacques Lebel.
Jouffroy e Baruchello si conoscono l’11 settembre del 1962 e resteranno in contatto attraverso uno scambio amicale e di lavoro. È Ileana Sonnabend a mettere in contatto Baruchello e Jouffroy nel 1962 e sarà Sonnabend a contribuire a far conoscere Baruchello al contesto parigino con la presenza nella sua galleria nel 1963 di opere tra le quali gli oggetti assemblati del 1962. Jouffroy scrive sia per la mostra del 1963 presso la galleria La Tartaruga, poi sulle riviste “Domus” e “Metro” articoli che riflettono sull’assemblare materiali e tecniche, pittura e oggetti, come già, anche da lui stesso sottolineato, era avvenuto per la grande mostra del MoMA del 1961 The Art of Assemblage, della quale Collages et Objets vuole costituire una tappa ulteriore. Le opere presentate a Piece Unique sono l’esito di una seconda fase della ricerca di Baruchello.
Le prime opere di Baruchello sono prevalentemente oggetti ed esperimenti con la pittura. La pittura usa liquidi industriali collosi, vernici antiruggine di color rosso vivo, Maxoloid bianco, vinavil. Tra il 1962 e il 1963 si riferisce ad immagini di un alfabeto di entità che pone singolarmente o soltanto a due o a tre nello spazio. Usa colori industriali, mette a punto una tecnica per invecchiare il presente, ottenendo delle “craquelature” della superficie. In realtà è anche un modo per dare immagine della fragilità dei significati. Nel 1963, soltanto un anno prima che si mettesse alla prova con uno dei primi esperimenti filmici di found footage, ovvero con il film Verifica incerta sottotitolato Disperse Exlamatory Phase, Baruchello è interessato all’ipotesi, all’errore, al probabile, si misura con l’arbitrarietà di qualsiasi affermazione: per lui osserva “il n’y a pas de solution…”. In un testo/manifesto del 1961, Means and Meanings Baruchello parla di un “effetto Palomar del pensiero da 10 a 100 gradi” e di “dilatazione-esplosione “dello spazio e del tempo. Il Tecnolatra è un quadro che mostra un’esplosione, un momento di deflagrazione mentale e fisica. La “tecnica” a cui si allude è quelle di una pittura ripensata come possibilità di superare i confini tra scienza, tecnica e filosofia. Questa fase di dispersione/perdita di centralità sia identitaria che mentale, è la premessa di una pittura che già alla fine del 1963 arriva a ridurre le immagini e a strutturare lo spazio attraverso agglomerati di piccole immagini tra le quali sono le connessioni molteplici a stabilire direzioni di lettura e percorsi sempre diversi dello sguardo.
Baruchello vive il contesto romano attraverso amicizie importanti: Mario Schifano, Tano Festa, Mimmo Rotella (con loro è a New York nel 1962, nella mostra New Realists presso la Galleria Sidney Janis). I suoi rapporti con Parigi, (con Alain Jouffroy, Pierre Restany, Robert Sebastian Matta, Robert Lebel, Marcel Duchamp) risalgono ai primissimi anni Sessanta. Anche New York, Monaco lo vedono presente in mostre personali e collettive. Baruchello racconta comunque spesso dell’importanza della cultura francese e in particolare della poesia: Arthur Rimbaud soprattutto è una delle sue fonti letterarie. Sue opere entrano già dagli anni Sessanta nelle collezioni del MoMA e del Guggenheim di New York, così come dell’Hirshhorn Museum di Washington.
La sua ricerca memore della pittura di Paul Klee, di Joan Mirò, degli esperimenti dadaisti (rivisti attraverso quello che per lui è il fondamentale mondo poetico/narrativo di Alberto Savinio o di Alberto Burri) conosce ben presto quello che avviene sia a Parigi che a New York. Disinteressato alle mode, conosce Cy Twombly a Roma nel 1961, mentre a New York è in contatto con la neoavanguardia americana, conosce John Cage, e già in quegli anni Öyvind Fahlström che nel mese di febbraio del 1964 precede con la sua mostra la personale di Baruchello del 1964 da Cordier& Ekstrom.
Baruchello in opere come in Il Tecnolatra, e nelle altre opere esposte presso Piece Unique, usa smalti industriali, il minio rosso. Usa strati di bianco sovrapposti, ottenuti con diversi tipi di colore: smalti industriali, bianchi alla caseina, pastelli a cera. Solca le superfici, cerca di far emergere la profondità e di invertire con ciò le direzioni (interno-esterno, profondità-superficie) per sollecitare lo sguardo ad aprirsi per andare oltre la superficie. La pittura è per lui un happening mentale che agisce sulla superficie per ripensare lo spazio senza confini, dove centro e margini hanno la stessa importanza. I colori sono energici e definiscono superfici pensate come l’intersecarsi di più piani di spazio e tempo. “Pittore filosofo”, come lo aveva definito Dore Ashton, artista enciclopedico, creatore di monogrammi come “depositi di energia narrativa” secondo Jean-François Lyotard, al quale è stato molto legato, Baruchello o “del divenire nomadi” secondo Gilbert Lascault, ha concepito la pittura e tutto quello che ha realizzato (società fittizie, cinema, activity tra arte e agricoltura, giardini, boschi) come un’avventura della mente, che deve saper rischiare, per sperimentare l’inedito.
Queste opere, appartenenti ad una fase della ricerca che sperimenta la possibilità di ripensare la pittura attraverso l’oggetto o l’immagine in movimento, introducono questioni che resteranno al centro della ricerca di Baruchello. Soltanto alla fine del 1963, l’esplosione a cui si riferiscono queste opere produce una frammentazione che genera il moltiplicarsi di immagini piccole nello spazio della pittura, dei plexiglass e egli oggetti, arrivando a formare microsistemi linguistici e mentali, disposti senza gerarchie in uno spazio delle relazioni plurime, che invita lo sguardo a spostarsi in maniera nomade.
Carla Subrizi
Artista
Gianfranco Baruchello (Livorno, 1924 - Roma, 2023) ha vissuto e lavorato a Roma e a Parigi.
Nella sua lunga attività di ricerca artistica ha conosciuto e attraversato le principali tendenze del secondo dopoguerra, dalla Pop Art all’Arte Concettuale. Ha utilizzato, dalla fine degli anni Cinquanta, diversi media: pittura, cinema, installazione, oggetti, scultura e pratiche performative. La prima mostra personale risale al 1963, presso la galleria La Tartaruga a Roma: grandi tele e piccoli oggetti si concentravano sull’idea della formulazione di un alfabeto di immagini che lui chiama Bisogno (tradotto da Il Need), Paura, Energia Errore, Entità Ostile, ecc. Nel 1964, in occasione della mostra presso la galleria Cordier & Ekstrom a New York espone opere che presentano un significativo punto d’arrivo della sua ricerca: frammentazione, disseminazione sulla tela di immagini ridotte a minimi elementi e decentramento concettuale dello spazio.
Dal 1960 inizia a produrre brevi film, tra i quali Il grado zero del paesaggio (1963), Verifica incerta (1964- 1965). Baruchello ha portato l’idea stessa di frammentazione e montaggio nella sua sperimentazione con la pittura, la scultura e le immagini in movimento. Negli stessi anni realizza libri d’artista tra cui La quindicesima riga (righe di testo prelevate da centinaia di libri) e il libro Avventure nell’armadio di plexiglass. Nel 1962 conosce Marcel Duchamp, al quale dedica nel 1985 il volume Why Duchamp, pubblicato da McPherson, New York. Nel 1973 avvia il progetto Agricola Cornelia S.p.A., un esperimento tra arte e agricoltura, che lo impegna per otto anni. Nel 1998 ha istituito, con Carla Subrizi, la Fondazione Baruchello.
Ha più volte partecipato alla Biennale di Venezia (1976-80, 1988-90, 1993, 2013) e a Documenta di Kassel (1977, 2012). Le opere di Baruchello fanno parte di collezioni museali di tutto il mondo: Galleria Nazionale d’Arte Moderna e MAXXI (Roma), MoMA e Guggenheim Museum (New York), Hirshhorn Museum (Washington), Philadelphia Museum of Art (Philadelphia) e anche Barcellona, Monaco, Amburgo, Londra e Parigi.