Marisa Merz
Marisa Merz
MASSIMODECARLO Pièce Unique è lieta di presentare Untitled (1982-84) di Marisa Merz – un viso in gesso appena abbozzato disteso su un piedistallo al centro della scena.
Se Untitled fa parte della serie delle Testine, iniziata dalla fine degli anni Settanta e portata avanti per oltre un quarantennio, ciò che ci viene presentato qui assomiglia quasi ad una maschera, e insiste piuttosto sulla centralità del viso e le sue componenti. Esso è appoggiato delicatamente sul ripiano del piedistallo, allo stesso tempo espediente espositivo – poiché l’artista presenta la sua opera e decide di esporla secondo questa modalità – e opera stessa.
Fine e delicato, il viso è fugacemente accennato nella materia, la cui morbidezza gioca con la rigidità del metallo del piedistallo. Tale aspetto permette alla scultura di non assumere una forma definitiva, così da suggerire un continuo processo di trasformazione. Il piedistallo è invece rigido, semplice e manifesto: esso fornisce un supporto, eppure condivide con la figura una certa fragilità. L’altezza delle gambe – fini come quelle di un insetto – accentua lo squilibrio con la scultura e la rende ancora più fuggevole e provvisoria. In alto sul piedistallo, il viso sembra dunque essere in pericolo, come se potesse cadere da un momento all’altro.
La sensazione di transitorietà delle Testine testimonia la ricerca dell’artista, che non è orientata verso la rivelazione di una forma definitiva. Non è presente un fine preciso, una forma precisa che si vuole raggiungere, quanto piuttosto un continuo fare. Riuscire e fallire perdono il loro significato, si trasformano in uno stesso gesto. Si capovolge così lo studio sulla figura: non si tratta di fissare un viso nei tratti che lo contraddistinguono, ma di provare a farlo, vedere come viene, legandosi in un certo senso all’impossibilità di restituire la propria visione di esso. Il volto, secondo Emmanuel Levinas, è infatti il luogo in cui l’Altro irrompe davanti a noi e non si rassegna ad essere catturato dall’intuizione sensibile: “Manifestarsi come volto significa imporsi al di là della forma”.
D’altronde Merz insiste sulle forme non definitive, sul fatto che il loro valore si mantenga inalterato nonostante non abbiano raggiunto una completezza. Non soggette allo scorrere del tempo, Tommaso Trini le definisce per questo delle “prefigure”. Tali immagini si iscrivono infatti in una linea temporale – preannunciano ciò che si potrebbe concretizzare in futuro, arrivano prima della forma – ma resistono ad una vera definizione. Merz dunque modella, spesso col suo stesso corpo, dando forma attraverso le dita, i gomiti, le mani. È un lavoro fisico ma dolce, si tratta di un altro tipo di forza, di un altro tipo di urgenza. Certo l’urgenza di dare una forma è presente, ma invece che imporsi definitivamente nell’opera, l’artista la lascia andare, la rende autonoma.
L’approccio figurativo è un ulteriore elemento che la contraddistingue. Ci troviamo davanti ad un viso, che ci indica la volontà di Merz di rappresentare ciò che vede, il suo quotidiano; d’altronde, l’artista non crede nella separazione tra arte e vita. Il viso però rappresenta anche sé stessa: una visione, come afferma Catherine Grenier, fatta emergere “dalle profondità del Caos, dove la figura della Donna e il volto dell'artista si intrecciano e si mescolano”. È l’occasione, dunque, di vedere cosa succede quando si cerca di rappresentare un volto umano: materia e figura lottano. È il viso che si sta immergendo nella materia, cercando di dominarla, oppure è lei che lo sta risucchiando, facendolo sciogliere? O si tratta piuttosto di un movimento verso l’esterno, in cui non è chiaro se è la materia che lo sta rigettando, o se invece è il viso a volere in tutti i modi uscire dalla materia, come se fosse imprigionato?
Non conosceremo gli esiti di tale lotta. Ci troviamo davanti ad un viso, l’artista ce lo sta mostrando su un piedistallo. È ciò che vediamo quotidianamente ma è anche ciò che ci sfugge ogni volta, o forse è ciò che comincia a nascere proprio nel momento in cui viene guardato.
Artista
Marisa Merz nasce il 23 maggio 1926 a Torino, dove frequenta fin dall’adolescenza l’ambiente culturale ricco dei vari lasciti della scuola casoratiana. Esordisce in campo artistico negli anni Sessanta con le Living Sculptures, manufatti in lamina di alluminio composti da più elementi spiraliformi, così mobili e irregolari da meritare l’appellativo di viventi. Legate alla ricerca sui materiali e a una progettualità essenziale, queste prime opere – presentate da Sperone a Torino già nel giugno del 1967 – anticipano e preparano la partecipazione dell’artista al movimento dell’Arte Povera.
Merz introduce nel linguaggio della scultura contemporanea tecniche e manufatti artigianali della tradizione, o appannaggio del lavoro femminile, attribuendo piena dignità artistica a procedure e materiali del quotidiano e prendendo così le distanze sia dalla poetica delle strutture primarie del minimalismo, razionali e autoreferenziali, sia dal gruppo dell’Arte Povera, rispetto al quale mostra fin da ora una sensibilità eccentrica.
Dalla metà degli anni Settanta gli interventi di Merz acquistano un carattere compiutamente ambientale, dapprima con la serie di stanze che l’artista allestisce in spazi complementari: quello aperto e pubblico della galleria o quello sotterraneo e segreto di una cantina, con un movimento continuo dalla dimensione privata a quella pubblica, una metamorfosi ininterrotta delle tracce graffite in forme scultoree e della fisicità materica in cromie dipinte. È in questo momento che si fa strada l'interesse per il volto umano, reso in due o tre dimensioni in disegni e pitture, o in sculture in creta, gesso, cera. Anche loro ‘sculture viventi’, le testine che accompagneranno l’artista per più di un quarantennio sono “visioni fatte emergere dalle profondità del Caos, dove la figura della Donna e il volto dell'artista si intrecciano e si mescolano” (Catherine Grenier), o ancor meglio "prefigure" (Tommaso Trini), la cui autonomia si sviluppa in un inedito chiaroscuro plastico che rimanda, differisce, qualsiasi forma finale (Rudi Fuchs).
“Pensare le cose ‘senza forma’ – scrive ancora Trini – permette di liberarle tanto dal reale quanto dall'irreale. Nella circolarità tra il chiaro e lo scuro, una forma finale può situarsi, rinascendo, all'inizio di ogni cosa”.
Negli anni Ottanta le diverse voci in cui da sempre si traduce la sua creatività trovano la loro sintesi perfetta e la loro compiuta maturità nelle testine grevi e impalpabili, nelle raffinatissime carte, nelle pale d'altare polimateriche: ne danno testimonianza le personali allestite nelle gallerie Bernier (Atene), Fischer (Düsseldorf), Tucci Russo (Torino), gli inviti della Biennale e di Documenta, nonché la partecipazione a importanti selezionate collettive: dopo la Biennale di Venezia del 1980, è a Parigi per Identité italienne. L’art en Italie depuis 1959, curata per il Centre Pompidou da Germano Celant nel 1981; poi a Palazzo delle Esposizioni, a Roma, per Avanguardia. Transavanguardia, a cura di Achille Bonito Oliva, nel 1982, anno in cui è anche a Documenta.
In seguito l'artista centellina ulteriormente la sua già rarefatta presenza pubblica: tra le personali museali sono da ricordare: Centre Georges Pompidou, Parigi, 1994; Kunstmuseum Winterthur, 1995 e 2003; Stedelijk Museum, Amsterdam, 1996; Galleria d’Arte Moderna Villa delle Rose, Bologna, 1998; Museo MADRE, Napoli, 2007; Centre international d’art et du paysage, Ile de Vassivière, 2010; Fondazione Querini Stampalia, Venezia, 2011; Fondazione Merz, Torino, 2012; Serpentine Gallery, Londra, 2013, MACRO – Museo d'Arte Contemporanea, Roma, 2016. Al 2017 data la prima grande antologica americana, The Sky Is a Great Space, allestita al Metropolitan Museum of Art di New York, e all’Hammer Museum di Los Angeles, e poi presentata anche in Europa al Serralves Museum of Contemporary Art di Porto e al Museum der Moderne di Salzburg, nel 2018. Dopo aver partecipato a partire dal 1972 a svariate edizioni della Biennale di Venezia, nel 2001 l’artista vi riceve il Premio speciale della giuria, e nel 2013 è insignita del Leone d’Oro alla carriera. Marisa Merz scompare a Torino il 19 luglio 2019, e la sua ultima personale, Geometrie sconnesse palpiti geometrici, si inaugura due mesi dopo al Masi di Lugano.
Nel 2021 la Fondazione Merz organizza una doppia personale dal titolo La punta di matita può eseguire un sorpasso di coscienza, con opere per lo più inedite di Marisa e Mario Merz. L'anno seguente è il Musée Rath di Ginevra a ospitare la coppia in una retrospettiva di ampio respiro. Il MAXXI dell'Aquila, nel 2023, affianca Marisa Merz all'indiana Shilpa Gupta in un dialogo a due voci dal titolo visibileinvisibile. Nel 2024, a distanza di trent'anni dalla personale 'francese' organizzata dal Centre Pompidou, il Musée LaM di Lille allestisce una raffinata retrospettiva dal titolo Ascoltare lo spazio, con opere inedite e una sezione speciale dedicata all'archivio dell'artista; la mostra verrà ripresentata l'anno seguente al Kunstmuseum di Berna e al Fridericianum di Kassel
- Fondazione Merz