V2 A0528

Greenhouse

Gianfranco Baruchello

Date
26.01.2017 | 18.03.2017
File
OTHER

La galleria Massimo De Carlo è lieta di presentare Greenhouse, la prima personale di Gianfranco Baruchello negli spazi di Palazzo Belgioioso a Milano. La mostra riunisce una selezione di opere realizzate nel corso della lunga ed eccezionale carriera di Baruchello, che ha esplorato e reso concreto attraverso l’arte un interesse inestinguibile per le relazioni che legano i meccanismi della mente a organizzazioni complesse come l’architettura, il design, l’anatomia, l’agricoltura e la natura.

La mostra traccia la passione di Baruchello per l’analisi dello spazio – mentale e fisico – in quanto linguaggio, un’iconografia architettonica che comprende e incarna valori, gesti, metamorfosi. Questo linguaggio empatico, esplorato con una vasta varietà di media – dalla pittura, al video alla land art – in Greenhouse si racconta attraverso una serie di larghe tele popolate da minuscole figure, gli iconici assemblaggi in scatola degli anni settanta, sculture e installazioni.

Greenhouse incarna l’esperienza caleidoscopica di assorbimento della molteplicità di immagini e di informazioni da parte di Gianfranco Baruchello, dall’inizio degli anni sessanta alla prima metà degli anni novanta. Ogni lavoro diventa una riflessione grafica sulle relazioni dell’individuo con lo spazio e con i mutamenti del paesaggio urbano. Per Gianfranco Baruchello lo spazio, tangibile ed interiore, va ricodificato attraverso la pittura, la scultura e la loro sintesi. La cifra anti-monumentale dell’artista prende forma attraverso le gestualità quotidiane, delineando e curando un giardino che imita la complessità della mente. Greenhouse rappresenta il compendio di un’esplorazione appassionata – lunga una vita – negli spazi, nelle forme e nei territori di quell’area indefinita, primordiale e onirica, dove si accorcia la distanza tra il sé e l’altro.

Le opere in mostra raccolgono e riassumono l’abilità di Gianfranco Baruchello di tradurre in arte la sua relazione con lo spazio che lo circonda, tracciandone sia la narrativa politica e sociale che quella poetica e filosofica.

Il dittico iconico More news in a moment but first this message (1968), composto con ritagli di giornali e disegni a matita su tela, illustra il rapporto tra l’artista e il tentativo di decodificazione della complessità della stratificazione d’informazioni e linguaggi mediatici dell’epoca – tra guerra in Vietnam, rivolte studentesche e televisione. Gli assemblaggi in scatola degli anni settanta, abitati da uniformi Duchampiane e pensieri politici, sono raffigurazioni dell’interpretazione di Baruchello dell’ascesa del movimento femminista in Italia: con l’emergere del femminismo, Baruchello auspica a un trattato di pace tra i generi, anticipando un’attitudine che comparirà solo qualche decennio più tardi. Nell’ultima sala della mostra altri due oggetti della fine degli anni settanta raccolgono in maniera frammentaria e antistorica un personale archivio delle ossessioni dell’artista.

I tre quadri di

Nella stalla della Sfinge (1980-1981) rappresentano la parte conclusiva di una ricerca di Baruchello dedicata al tema della dolcezza e del sapore dolce serie di interviste filmate assieme a filosofi e critici tra cui Jean-François Lyotard e Félix Guattari. Le tele sono disseminate di minuscoli personaggi e caratteri, che popolano il mondo interiore e la pratica artistica di Baruchello: i temi più ricorrenti sono quelli della casa, dove interni, stanze e tappeti di carne descrivono stati il progetto si era articolato in un libro e in una fisici e stati d’animo.

L’opera Acrobata Clandestino, esposta alla Biennale di Venezia nel 1988, è un esempio eccellente di rappresentazione del rapporto complesso tra filoso e artista, dove secondo Gianfranco Baruchello l’artista è come un acrobata che esegue le parti difficili dell’attività filosofica, ciò che i filosofi non hanno il coraggio di fare.

L’installazione Una casa in fil di ferro (1975) e la scultura Greenhouse (1977) incarnano l’esperienza dell’Agricola Cornelia, una fattoria sulle colline romane dove l’artista ha vissuto e lavorato dal 1973 al 1998 (oggi sede della Fondazione Baruchello) e alludono alla ricerca di un proprio spazio, sia fisico che mentale: case effimere e aperte da abitare e spazi da coltivare, le Greenhouse fanno parte del periodo in cui Baruchello aveva esteso la sua pratica artistica perfino alla coltivazione degli ortaggi.