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Fantastic Animals

Chico da Silva

Date
09.04.2024 | 20.04.2024
Galleria
Pièce Unique
File
COMUNICATO STAMPA

Il ciclo di morti e resurrezioni di Chico da Silva
di Andrea Bellini


Visionaria e cosmogonica, l’arte di Chico da Silva ha conservato nel tempo la sua forza; ciò che è cambiato è il nostro sguardo su di essa, a conferma che non è l’opera d’arte che si espone al pubblico, ma è il pubblico – con le proprie categorie culturali – che si espone a essa.


La storia di questo straordinario artista brasiliano può servire da breviario di tutti i possibili equivoci occidentali attorno al cosiddetto Nuovo Mondo, il quale – come si sa – è vecchio quanto il nostro. Chico da Silva è stato considerato a lungo una figura paradigmatica dell’arte indigena brasiliana, cioè di uno stile e di un’estetica unitari che in quanto tali non sono mai esistiti, se non nell’immaginario europeo. Secondo questa interpretazione da Silva sarebbe un artista indigeno che dipinge in uno stile primitivo animali bizzarri, immersi in una natura mitica e selvaggia. Da Silva, tuttavia, non ha mai rivendicato un’identità indigena per la sua opera e ha dichiarato esplicitamente che i soggetti delle sue pitture non sono memorie della sua infanzia in Amazzonia, ma il prodotto della sua immaginazione. Quello dell’artista brasiliano è in realtà un linguaggio pittorico originale, in grado di esprimere attraverso l’uso di tecniche insolite un universo singolare.

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Untitled
1964
Chico da Silva
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Untitled
1973
Chico da Silva

Nato nel 1922 o 1923 e cresciuto nella foresta amazzonica dello stato nordoccidentale di Acre, ancora bambino da Silva perde il padre, pescatore di origini peruviane, a causa del morso di un serpente a sonagli. Nei primi anni Trenta si stabilisce con la madre a Pirambu, uno dei quartieri più poveri di Fortaleza. Qui comincia a disegnare con il carbone – sui muri delle case dei pescatori – uccelli dal grande becco, pesci mostruosi e navi fantasma. Nel 1943 Jean-Pierre Chabloz, artista svizzero da poco trasferitosi nella regione, vede i disegni mentre passeggia per le strade del quartiere e ne rimane impressionato. Dopo una breve ricerca, incontra il giovane artista autodidatta e lo incoraggia regalandogli carta, inchiostro, gouaches, matite e pennelli. Nel corso dei cinque anni in cui risiede in Brasile, Chabloz si impegna nella promozione della sua opera, inserendola in diverse mostre locali e nazionali, e occupandosi anche del suo mercato. Il sostegno di Chabloz viene però a mancare nel 1948, quando rientra in Europa. Non sapendo come sostenersi, per dodici lunghi anni da Silva smette di dipingere per dedicarsi ai mestieri più disparati: il calzolaio, il fabbricante di zoccoli, il riparatore di ombrelli, il barbiere e il mozzo sui pescherecci.


Le cose cambiano di nuovo nel 1960, quando Chabloz si trasferisce in maniera definitiva in Brasile. Quest’ultimo non solo lo convince a riprendere la sua attività pittorica ma riesce nella difficile impresa di farlo assumere dal museo d’arte dell’Università Federale di Ceará. Per qualche anno, tra il 1961 e il 1963, grazie a un salario fisso, il suo protetto può finalmente dedicarsi interamente all’arte.


Dal punto di vista del linguaggio pittorico, da Silva porta a maturazione una serie di soluzioni formali già definite nei primi anni Quaranta: l'applicazione del colore senza gradazioni, la tecnica puntinista, l’assenza di profondità tridimensionale, la creazione del ritmo e dell’orientamento visivo dell’opera grazie alla stesura di linee lunghe e corte. L’iconografia si arricchisce di esseri antropomorfici bizzarri e animali mitologici, raffigurati sempre con la bocca spalancata dalla quale fuoriesce una lingua biforcuta.

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Quando, verso la metà degli anni Sessanta, la sua opera raggiunge una certa notorietà in Brasile e la domanda dei suoi lavori è in rapida crescita, Chico da Silva lascia l’istituzione per fondare una sua “bottega”: nasce in questo modo la scuola di Pirambu. I membri della scuola sono quattro giovani del quartiere: Sebastião Lima da Silva (Babá), José Claudionor Nogueira (Claudionor), Ivan José de Assis (Ivan), José dos Santos Gomes (Garcia) e sua figlia Francisca da Silva (Chica). Da Silva insegna loro il mestiere e organizza un metodo di lavoro collettivo. Lui stesso, Claudionor e Ivan si occupano dei disegni; Babá, Ivan e Garcia sono responsabili del colore, della pigmentazione e della puntinatura; e infine Chico da Silva si occupa delle rifiniture. Poi appone la sua firma (o "logo") sui dipinti, che vende direttamente. Grazie al contributo degli allievi, l’immaginario del maestro si espande e il repertorio di animali si arricchisce. Compaiono ora nelle composizioni galli, aironi, jacane, gufi, serpenti, fiori, farfalle, animali domestici e piccoli insetti.


Questo è il momento di più grande notorietà per l’artista; nel 1965 è invitato a rappresentare il Brasile alla Biennale di Venezia del 1966, ricevendo la menzione d’onore della giuria. Due anni più tardi alcune sue opere di grande formato sono esposte alla Biennale di San Paolo. Il successo internazionale, tuttavia, coincide con una polemica pubblica che avrà ripercussioni drammatiche sulla sua salute e sulla sua arte.


È il 1967 quando proprio il suo primo mentore e sostenitore, Jean-Pierre Chabloz, scrive un articolo duramente polemico, in cui dichiara false e pittoricamente modeste la maggior parte delle opere di da Silva in circolazione. La presa di posizione di Chabloz, seguita da una campagna stampa aggressiva e denigrante, porta il mercato di da Silva al crollo. Ancora una volta il punto di vista occidentale sulla questione dell’autenticità e dell’originalità è lontano dal modo di vedere dell’artista brasiliano: nella sua scuola si trasmette una tecnica e si producono opere collettivamente, non dei falsi. Traumatizzato dalla polemica, tra il 1970 e il 1977, l’artista viene ospedalizzato a più riprese a causa della dipendenza dall’alcol e delle sue crisi di nervi.


Intrappolato suo malgrado in un ciclo continuo di morti e resurrezioni, la nuova vita di Chico da Silva comincia a un decennio di distanza dall’articolo di Chabloz. La rinascita avviene nel 1977, grazie all’iniziativa di un gruppo di intellettuali capitanati da Hélio Rola, artista e ricercatore, i quali propongono – nel contesto di una mostra a Ceará – una performance dal titolo Homens trabalhando. Presentata come opera concettuale, la performance prevede la realizzazione davanti al pubblico di una grande tela da parte dei cinque artisti della scuola di Pirambu, sotto l’egida del loro maestro. Dipinta nel corso di sette giorni, Homens trabalhando è un’opera iconica dell’arte brasiliana del secondo Novecento, la quale ha il merito di presentare la scuola come un fenomeno di arte collettiva, un luogo di sperimentazione e di espansione dell’immaginario, e non come un centro di contraffazione. In parte riabilitato da questa performance, nel 1978 Chico da Silva torna a una pratica individuale, abbandonando le opere su carta e cominciando a dipingere esclusivamente su tela.


Questa mostra presso la galleria MASSIMODECARLO Pièce Unique rappresenta una rarissima occasione per vedere in Europa un importante corpus di lavori di Chico da Silva, un creatore di mondi visionario e dalle fortune alterne, a cui spetta un posto d’onore nella storia dell’arte latino-americana del secondo Novecento.

MASSIMODECARLO Milano - Viewing Room

In occasione di Fantastic Animals a MASSIMODECARLO Pièce Unique, una selezione di opere su carta di Chico da Silva è esposta nella viewing room di MASSIMODECARLO Milano.

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1966
Chico da Silva
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1966
Chico da Silva
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1966
Chico da Silva
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1966
Chico da Silva
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1966
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1966
Chico da Silva
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1966
Chico da Silva

Artista

Chico da Silva

Francisco Domingos da Silva, noto come Chico da Silva, nasce nel 1922 o 1923 ad Alto Tejo, nello stato brasiliano di Acre, figlio di un padre indio-peruviano e di una madre dello stato di Ceará. La sua data di nascita rimane tutt’oggi incerta, tra il 1910 e il 1922 - 1923. 


Grazie all’aiuto del critico d’arte Jean-Pierre Chabloz, conosciuto negli anni ’40, da Silva comincia a dipingere con materiali poveri come tempera, vernice e carta e a partecipare a mostre in Brasile e in Europa. Il culmine della sua carriera arriva nel 1966 quando rappresenta il Brasile alla Biennale di Venezia. 


Negli ultimi anni le sue opere sono state oggetto di numerose mostre come Chico da Silva, David Kordansky Gallery, New York (2023); Chico da Silva e o ateliê do Pirambu, Pinacoteca de São Paulo (2023); Chico da Silva: Sacred Connection, Global Vision, Museu de Arte Sacra, São Paulo (2022); Chico da Silva –O Renascer 100 Anos, Espaço Cultural Correios, Fortaleza, Brazil (2010); Retrospectiva Chico da Silva: do delírio ao dilúvio, Espaço Cultural do Palácio da Abolição, Fortaleza, Brazil (1989). Parte della sua produzione arricchisce molte collezioni pubbliche e private fra cui il Centre Pompidou, Paris; Tate, London; Pinacoteca de São Paulo; El Museo del Barrio, New York; Guggenheim Abu Dhabi, United Arab Emirates; Museu de Arte do Rio de Janeiro; and Fundacão Edson Queiroz, Fortaleza, Brazil.